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Risposte alle domande raccolte durante il percorso Shema' Israel

a cura di Rosalba Franchi & Enza Puliga

Ci sono 16 domande

Tutte le domande e risposte se diffuse ne va citato la fonte e non ci siano fini commerciali


Domanda:

Allora Gesù fu condotto dallo Spirito per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato 40 giorni e 40 notti, alla fine ebbe fame. Potete commentare questo episodio.

Risposta:

Inizio subito con il dire che ‘Diavolo’ è un termine greco che significa ‘divisore’; è la traduzione del termine ebraico ‘satana’ che significa ‘avversario’. Qui, non ci sentirete mai parlare del “demonio della tradizione”, per il semplice motivo che nei Vangeli non c’è materiale per poterlo fare e aldilà delle nostre personali convinzioni o delle tradizioni, lavoriamo solo ed esclusivamente su ciò che la Parola offre. La contraddizione del bene e del male è dentro l’uomo. Gesù è vero Dio, ma anche vero uomo e ha vissuto la sua vita terrena da vero uomo, affrontando in sé stesso tutte le problematiche dell’essere umano. Gesù è cresciuto, ci dice Luca, in sapienza, età e grazia imparato a rigettare il male e a scegliere il bene. Per il linguaggio biblico, i quaranta giorni hanno un duplice riferimento: i quarant’anni degli Ebrei trascorsi nel deserto alla ricerca della terra promessa e l’intera esistenza di ognuno, cioè una generazione. Gesù ebbe a che fare ogni giorno con le seduzioni proposte dal pensiero opposto a Dio. La sua capacità di scegliere e agire radicato in Dio, lo portò a vivere e a essere la terra promessa: la realizzazione piena del suo essere uomo e Dio. Gesù di Nàzaret è di una bellezza infinita. Non ha mai ceduto sulla sua posizione di essere portatore di luce, non ha mai permesso alle tenebre di schiavizzarlo, non ha mai permesso alla paura, alla sfiducia, alla stanchezza, al fallimento, alla derisione, alla persecuzione, di fargli cambiare rotta. Non ha mai permesso alla sua mente di lasciarsi abbindolare per ottenere gratificazione e successo alla maniera del mondo. Era un uomo coerente e perseverante, non certo perché tutto piovesse dal cielo senza il suo personale impegno. “Allora il diavolo gli disse: <<Se tu sei il Figlio di Dio, comanda a questa pietra di diventare pane>>. Gesù gli rispose: <<È scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo>>.” Lc 4, 3-4. Davanti alla proposta, apparentemente allettante vista la fame, di trasformare le pietre in pane, dando dimostrazione clamorosa e spettacolare del suo essere il Messia, non cede minimamente. Egli si fa pane per fare dono di sé stesso e non certo per dimostrare di essere un leader capace di opere straordinarie per alzare l’audience e la superbia. Alla prima tentazione seduttrice, si insinua la seconda che Luca pone al centro, quindi la più accattivante. “Il diavolo allora condusse Gesù più in alto, gli fece vedere in un solo istante tutti i regni della terra, e gli disse:<<Ti darò tutto questo potere e la gloria di tutti questi regni, perché a me sono stati dati, e io li do a chi voglio. Se tu ti prostri davanti a me, sarà tutto tuo.>> Lc 4, 5-7. Gesù, durante tutta la sua esistenza, risponderà a questo pensiero menzognero con una parola fondamentale. “È scritto: Adorerai il Signore Dio tuo, a lui solo renderai culto.” Lc 4, 8. Nella mente di Gesù la menzogna non trova terreno fertile, poiché in lui è radicata la verità di Dio suo Padre. Non cede al compromesso neppure appeso ad una croce come un malfattore. Non accenna minimamente alla possibilità di adorare la menzogna per avere gloria terrena. Il dialogo di Gesù con il menzognero termina con la terza seduzione. Egli viene condotto a Gerusalemme, sul pinnacolo del tempio, la parte più alta dove i sacerdoti suonavano lo shofar e dove si pensava sarebbe comparso il messia davidico come un grande condottiero. A Gesù viene chiesto di gettarsi giù, tanto Dio comanderà ai suoi angeli di proteggerlo. “Gesù gli rispose:<<È stato detto: non tenterai il Signore Dio tuo>>. Lc 4, 12. Gesù non è il messia rivoluzionario armato fino ai denti, atteso dalla religione per buttare giù dal trono i potenti e prendere il loro posto come un qualunque re del mondo ingiusto. Gesù è spinto dallo Spirito perché è necessario vivere questa esperienza nel deserto, luogo d’incontro con sé stesso e con Dio, luogo d’intimità dove decidere, giorno dopo giorno, come vivere la missione accolta. Qui avviene la tipica battaglia interiore tra due spinte: quella del bene e quella del male, degli angeli e delle fiere. Gesù non è esonerato dall’incontro con le fiere, ma si lascia servire dagli angeli, di sicuro non si lascia servire dalle fiere. Gesù sceglie costantemente, in comunione con lo Spirito di cui si fida, la vera giustizia e l’amore per il prossimo, chiunque esso sia. Questa scelta costante di Gesù, che parte da una chiamata interiore, diventa “azione” per la sua beatitudine nel vivere il proprio progetto e per la beatitudine dei fratelli.

Domanda:

Valerio 54 da dove nasce la storia del peccato originale, dato che la chiesa ha deciso che quando uno nasce è già nel peccato, anche senza peccare.

Risposta:

Abbiamo trattato questo argomento proprio nella condivisione di Atti 18, 1-28; 19, 1-7. La religione cattolica pone l’accento sulla necessità del battesimo non solo per entrare a far parte della chiesa, ma per togliere il peccato originale. Facciamo insieme una riflessione. In quale occasione Gesù ci ha detto che nasciamo con il peccato originale, con un timbro di fabbrica che dice ‘portatore di un ‘difetto’? Non mi risulta lo abbia fatto. Il peccato originale si dice sia la condizione di tutta l’umanità passata, presente e futura, ereditata da Adamo ed Eva: non si tratta di un peccato individuale ma comunitario. La Genesi racconta che Eva e Adamo avendo disobbedito a Dio, hanno perso il loro stato di grazia iniziale, ritrovandosi nella lotta tra il bene e il male che non era prevista nell’Eden. Grazie al battesimo in virtù di Cristo che paga per tutti, viene ripristinato lo stato di grazia iniziale. Negli anni appena successivi alla morte di Gesù, i cristiani hanno sentito il bisogno di dare un’aggiustata al senso della morte di Gesù sulla croce. La prima chiesa e poi avanti nei secoli, ha deliberatamente voluto dare un significato diverso della croce. In Deuteronomio leggiamo che chi pende dal legno è maledetto. I discepoli, soprattutto nella predicazione rivolta ai giudei, si trovano in una posizione assolutamente scomoda parlando di Gesù crocifisso. Per risolvere questo dilemma, pescando nel retaggio religioso, la croce è stata investita di un significato più digeribile: sacrificio ed espiazione. Da questo falso principio, nasce il significato teologico della redenzione comprata a caro prezzo da Gesù, che ha caricato sulle sue spalle tutti i nostri peccati e si è immolato per soddisfare Dio. La morte sulla croce è diventata sacrificio offerto a Dio per la nostra redenzione, tradendo le intenzioni di Gesù che non ha mai messo al centro la sua vita quale sacrificio offerto a Dio. Gesù ha testimoniato con la vita cosa significa amare con l’intento di dare inizio alla nuova umanità. La morte infamante sulla croce non l’ha decisa il Padre e nemmeno Gesù, ma i capi religiosi, come conseguenza, della sua scelta concreta e quotidiana di smontare la falsa immagine del dio della religione. La cattiva interpretazione della santa croce ha fatto passare Gesù da liberatore pacifico quale voleva essere a redentore secondo un falso concetto religioso. Cosa c’entra in tutto questo discorso il peccato originale? Ci arriviamo subito. L’umanità è considerata peccatrice da sempre a causa di Adamo ed Eva, primo uomo e prima donna. Perciò Dio per sistemare la faccenda, manda suo figlio a pagare in prima persona per guadagnare la purificazione dell’umanità che può così presentarsi a lui con una veste candida. Gesù ha soddisfatto l’ira di Dio morendo sulla croce per noi. Tutto questo è semplicemente una menzogna. Poteva essere accettabile all’inizio del cammino della chiesa che necessita di evoluzione giorno dopo giorno ma non è più accettabile oggi. Quando ancora sentiamo dire che Gesù ci ha salvati con il sacrificio della croce, fermandosi a questo, prendiamo di corsa le distanze. Gesù non si è tirato indietro nemmeno davanti alla minaccia della morte ed è verissimo. È rimasto sempre dalla parte degli ultimi, nonostante la persecuzione ed è verissimo. Senza ombra di dubbio, ci ha dimostrato che la morte non esiste e ha attraversato ogni fase della sua esistenza, anche la più dura, senza tradire l’amore, sempre dimostrato in modo concreto. Gesù non ha pagato proprio niente al posto nostro. La dottrina sul peccato originale è stata codificata nel quinto secolo da S. Agostino a scopo apologetico, cioè per salvare Dio dall’accusa di aver introdotto nel mondo il male. Ripeto quello che ho già detto prima che vale anche ora: questo non sarebbe un problema se nei secoli a seguire ci fosse stato una corretta crescita che ci permette di lasciar andare ciò che comprendiamo non essere più buono, per aprirci alla novità che la ricerca comporta. Purtroppo però, ancora oggi parliamo di peccato originale che si basa su questo ragionamento: il male non può averlo creato Dio, quindi per giustificare la sua presenza dobbiamo dire che è colpa degli uomini. Perché è colpa degli uomini? Perché Adamo ed Eva, esistiti fisicamente, hanno offeso Dio disobbedendo e il loro peccato è ricaduto su tutti noi. Si sta dicendo che la Genesi è un libro storico, comprendiamo bene che è infantile pensarlo. Resta il fatto che il catechismo della chiesa cattolica, scritto nel 1994 praticamente pochi anni fa, continua a far passare ancora oggi l’idea che Adamo fu fisicamente il primo uomo e Eva fu la prima donna che diedero origine all’umanità sulla terra. Può stare in piedi oggi un discorso simile? Piccola nota: in tutto il catechismo non viene mai usata la parola evoluzione. Nel rito del battesimo cattolico si dice in modo chiaro che si toglie il peccato originale, che abbiamo come condizione alla nascita. La Genesi ci parla per immagini, simboli e non è un trattato storico o scientifico: facciamocene una ragione con buona pace dei conservatori. Adam che significa uomo, terra, è simbolo della nostra parte maschile, razionale, materiale, concreta, combattente di cui abbiamo bisogno nelle giuste dosi. Eva che significa essere vivente, è la nostra parte femminile, creatrice, intuitiva, meditativa, accogliente altrettanto necessaria. In tutti noi c’è Adamo ed Eva che è bene viaggino in equilibrio, in collaborazione. La storia dell’umanità non è sottoposta a nessuna maledizione ed è in divenire. L’errore, come è giusto tradurre “peccato” secondo il Vangelo, è contemplato in un cammino di crescita, di consapevolezza. Siamo a immagine e somiglianza di Dio in uno stato che possiamo dire embrionale. Siamo in cammino, fatto anche di cadute, deviazioni, perdite di tempo, in un continuo tentativo di conoscerci, di crescere, di realizzarci secondo le spinte tutte originali della nostra anima che ha come destinazione il vero bene. Tutto questo per dire che non c’è nessun peccato originale e spero che, meglio prima che poi, chi di dovere si assuma la responsabilità di cancellare questo falso e inesistente peccato originale.

Domanda:

Laura 34 sentendo e leggendo le catechesi che avete fatto ho capito che Dio non si offende, ma perché allora dobbiamo chiedergli perdono, non basta chiedergli scusa.

Risposta:

Per rispondere a questa domanda riprendo un commento fatto sulla parabola del Padre misericordioso. Come certamente ricordiamo, il figlio minore decide di allontanarsi dalla casa di suo padre, dopo aver preteso la sua parte di eredità. Dopo aver speso tutti i soldi, si ritrova a lavorare in mezzo ai maiali e ad avere fame. “Tornato in sé stesso, disse: quanti salariati del padre mio abbondano di pane e invece io per carestia qui muoio.” Lc 15, 17. Analizziamo questa bellissima espressione di tornare in noi stessi; la stessa che troviamo per Abramo, quando Dio gli dice: “vai a te stesso”, “va a tuo vantaggio”, che significa esci dalla tua terra. Fa un ragionamento secondo il proprio schema mentale: ha fame, è in miseria e sa che da suo padre i salariati, ricevono uno stipendio e possono mangiare. Essendosi alzato, prepara un discorso da fare al padre. “Essendosi alzato” cioè essendosi sollevato dalla posizione in cui era. “Padre ho peccato verso il cielo e verso di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati.” Lc 15, 18-19. Qui Luca ci propone un’immagine meravigliosa, rivoluzionaria. “Si mise in cammino e ritornò dal padre. Mentre era ancora lontano, il padre lo vide e ne ebbe compassione. Gli corse incontro, cadde sopra il suo collo, e lo baciò.” Lc 15, 20. Il padre era in attesa, il suo sguardo era rivolto alla strada del ritorno. La porta non è mai stata chiusa, nonostante il comportamento del figlio. Il Padre ama incondizionatamente e non si preoccupa dell’impurità del figlio. Non si preoccupa neppure della propria dignità rispetto alla religione. Dico questo perché nel mondo Ebraico corrono solo i pazzi e gli indemoniati. Un uomo che ci tiene al suo onore e alla sua reputazione non lo fa per nessuna ragione, tanto meno per andare incontro ad un figlio che lo ha disonorato. Dio Padre non considera minimamente il suo onore un valore da custodire. Quindi corre verso il figlio e letteralmente gli cade sul collo. Si fa una cosa sola con lui, lo abbraccia e lo copre di baci. Gesù ci sta parlando di un padre pazzamente innamorato dei suoi figli, sempre in attesa, sempre pronto ad accogliere e dare una nuova opportunità. Che ci piaccia o no, Dio è così! Questo figlio ancora non lo sa ed ecco che recita la frasetta preparata che non comprende il chiedere perdono al padre. Questo figlio non esprime alcun rimorso per la sofferenza causata: ha fame e torna da suo padre per essere riammesso come servo. Eppure il padre ha con lui un comportamento sconvolgente per l’epoca di Gesù e ancora sconvolgente alla nostra epoca: non <presto portate la veste migliore e fategliela indossare; mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso e ammazzatelo. Facciamo festa con un banchetto perché questo mio figlio era morto ed è ritornato in vita, era perduto ed è stato trovato.> E cominciarono a far festa.” Lc 15, 22-24. Questo figlio sta iniziando a vivere un’esperienza totalmente nuova. Sta iniziando a passare dalla mentalità di servo a quella di figlio e tutto per grazia. Dio non ha nessuna necessità del nostro perdono e non lo chiede. Egli sa perfettamente quali sono le dinamiche che ci abitano, sa perfettamente che possiamo cadere in errore, tutto questo è previsto in un cammino di crescita. Dio non si separa mai da noi e non si spezza mai la relazione con lui. Il suo amore è gratuito, costante e non è sottoposto a nessuna condizione. Quello che è necessario per il nostro bene è renderci conto di aver sbagliato direzione, tornando in noi stessi per poi rialzarci e proseguire il cammino, confidando nell’amore del Padre che è sempre presente, qualunque sia la nostra condizione.

Domanda:

Cesare 48 Ciao potete dirmi secondo il vostro parere se esiste o no il paradiso, o lo stiamo già vivendo.

Risposta:

Ben consapevole che le parole non sono sufficienti, posso tentare di definirlo. Il paradiso non è un luogo ma è la dimensione spirituale della beatitudine, della pienezza dello Spirito. Noi siamo particelle di Dio in viaggio su questa terra, siamo spirito dotato di corpo, mente, anima per fare esperienza nella dimensione terrena, sperimentando l’individualità e la dualità e a questo scopo cade su di noi un velo, che non ci permette di ricordare da dove arriviamo. Per questo occorre un graduale cammino di consapevolezza. Il paradiso è la dimensione spirituale che possiamo chiamare la Casa del Padre da cui siamo partiti e a cui faremo ritorno nella pienezza della presenza di Dio. Cosa avviene dal momento in cui lasciamo la terra per tornare a Casa, non lo sappiamo con certezza. Possiamo intuire qualcosa ma, di sicuro sappiamo poco. Considerando che il nostro è un cammino, possiamo ragionevolmente pensare che dopo la partenza dalla terra, ci sarà un periodo di crescita, di evoluzione fino al totale completamento nella perfezione dello Spirito: spirito che siamo nello Spirito che è Dio. Tu chiedi se il paradiso lo stiamo già vivendo. Si, è possibile viverlo da ora ed è un’esperienza che tutti possiamo fare, in qualunque condizione di vita ci troviamo. Secondo me, viviamo la dimensione del paradiso, inteso come ho detto dimensione spirituale, a ‘piccole dosi’ tutte le volte che ci sentiamo in comunione con lo Spirito che ci riempie della sua presenza e del suo amore come un fuoco che brucia dentro e nasce in noi la necessità di donare questo amore, di condividerlo, di testimoniarlo. Viviamo frammenti di paradiso perché c’è sempre di più e lo scopriamo giorno dopo giorno. Il paradiso è uno stato spirituale da cercare e vivere già qui su questa terra, in questa esistenza, e non è da attendere nel futuro dopo aver attraversato la morte.

Domanda:

1-Lorella 22 anni. È vero che i numeri nella bibbia hanno un simbolo, magari mi potete fare un esempio.

Risposta:

Vi faccio alcuni esempi di numeri simbolici: n° 1 indica Dio e l’unità. n° 3 indica la perfezione divina, la completezza, la Trinità. n° 4 indica i punti cardinali. n° 6 indica la creazione dell’uomo avvenuta il sesto giorno. n° 7 simboleggia la perfezione, la pienezza. n° 8 rappresenta la resurrezione di Gesù. n° 40 indica una generazione.

Domanda:

Come fare a perdonare?

Risposta:

Perdonare è prima di tutto una scelta, una decisione che per quanto faticosa sia, ci porta ad essere liberi da quello che ci ha causato dolore. Presa questa decisione, inizia un percorso di guarigione dalla ferita che c’è, non scompare all’istante, ma che con il tempo necessario si rimargina. La cicatrice resta, possiamo anche ricordare il dolore, ma non ha più potere su di noi. Da ogni esperienza dolorosa per cui abbiamo scelto il perdono possiamo trarne forza e consapevolezza per crescere e per essere di aiuto, poi, a chi incrocia la nostra storia e può avere bisogno di sostegno. È una scelta perché ci troviamo di fronte a due strade: perdonare ed essere liberi di proseguire in pace la nostra vita o lasciarci avvinghiare dal dolore provato per vivere di rancore e di paura di soffrire ancora. La decisione è nostra e la forza la troviamo nella nostra capacità di guardare la situazione da una prospettiva più alta di quella emotiva, mettendoci dalla parte dell’amore incondizionato. Non è facile, sono la prima a dirlo, ma è possibile, anzi è necessario per il nostro benessere e a cascata per il benessere di chi ci sta accanto. Il perdono non è un atto che giustifica il male, ma è la chiave per un processo di guarigione interiore che ci fa uscire dalla gabbia dell’esperienza dolorosa o traumatica, che ci libera dal passato che è passato, che ci permette un’analisi più lucida della situazione e che ci consente, quando e dove è possibile, di ristabilire pace e armonia con chi ci ha ferito, per il bene nostro e degli altri. Lo stesso discorso vale quando è proprio noi stessi che decidiamo di perdonare. Il processo di guarigione che ne segue, ci permette di vedere l’errore, assumersene la responsabilità, avere compassione verso noi stessi, cogliere la lezione imparata e andare avanti. Ci tengo a puntualizzare una cosa: perdonare non significa affatto permettere all’altro di continuare a farci del male. Attenzione a non cadere in questa trappola. Ciò che va interrotto, va interrotto e bisogna prenderne le distanze. Poi comunque ci impegniamo in un percorso di perdono e guarigione, senza per questo accorciare le distanze quando questo può essere pericoloso. Perdonare non significa, per esempio, ricominciare a frequentare una persona “tossica”, passatemi il termine utile a capirci. Significa decidere di non odiare, di non provare rabbia, rancore, sete di vendetta che sono sentimenti da lasciar andare, da guarire per non essere incatenati a vita.

Domanda:

Perché Gesù si è fatto battezzare?

Risposta:

Il battesimo proposto da Giovanni il Battista, è un rito di immersione nell’acqua che ha il significato di voler lasciar andare tutto ciò che è l’uomo “vecchio” per rinascere uomo nuovo, pronto ad accogliere l’amore di Dio. Gesù ha deciso liberamente di vivere questa esperienza, insieme a tutti coloro che si presentavano al Giordano. Gesù è vero uomo e vero Dio. Non dobbiamo mai dimenticare che Gesù di Nazareth era un uomo che ha vissuto con tutte le stesse dinamiche che viviamo noi, qui sta la sua immensa bellezza. Egli come tutti, aveva le sue necessità materiali, affettive, psicologiche e spirituali. Uomo che ad un certo punto della sua storia personale, nato e cresciuto ebreo, si è reso conto che al tempio e dai sacerdoti non trovava piena soddisfazione alla sua fame e sete di verità su Dio, non vedeva in loro una testimonianza credibile, lo dico in generale. Seguendo il suo desiderio interiore di vivere una vera esperienza di crescita, evolutiva, decide per il battesimo nel Giordano, che non va confuso con il rito cattolico del sacramento del battesimo. In questa immersione nell’acqua, Gesù ha avuto un battesimo, un’immersione nello Spirito di Dio, un’effusione dello Spirito attraverso il quale ha ricevuto una parola del Padre, che è stata il fondamento di tutta la sua esperienza terrena. Ha sentito in sé stesso l’amore totale del Padre e la sua voce dirgli: Tu sei mio figlio l’amato. Questa stessa affermazione è per ciascuno di noi, il Padre ci ama tutti allo stesso modo. Dopo questa esperienza, lo Spirito spinge Gesù nel deserto per 40 giorni, numero biblico che indica un’intera generazione, tutta la sua esistenza, per confrontarsi con sé stesso, lo spirito che è, con la sua materia, psiche, personalità, anima. Per confrontarsi con tutte le linee di forza che si muovono dentro di lui e fuori di lui, per discernere e scegliere chi vuole essere. Tutti siamo spirito in viaggio su questa terra dotati di corpo, mente, anima che fa da ponte tra la materia e lo spirito che siamo. Per Gesù è la stessa identica condizione. Il battesimo a cui Gesù ha aderito, è un’immersione nello Spirito che lo ha guidato fra le righe della sua storia sentendo profondamente l’amore del Padre. Nel deserto, nel suo spazio interiore, Gesù decide di non lasciarsi sedurre dal potere, dalla ricchezza, dalla fama, dal diventare re alla maniera del mondo, vivendo con e per amore, quello stesso amore sperimentato in quel battesimo e poi chissà quante altre volte.

Domanda:

Cosa posso fare per avvicinare marito e figli a Gesù?

Risposta:

Vivere e incarnare l’amore di Dio, indipendentemente dai limiti che naturalmente abbiamo. Nella misura in cui cerchiamo di dare amore, di essere disponibili al dialogo, alla gentilezza e al rispetto, capaci di riconoscere gli eventuali nostri errori e ci scusiamo quando li riconosciamo, stiamo testimoniando Gesù e il suo annuncio. Quando ci attiviamo per costruire con la nostra famiglia un rapporto fondato sull’aiuto reciproco, sull’ascolto, sulla gioia dello stare insieme, stiamo testimoniando in modo concreto e visibile l’amore di Gesù. Quando liberamente parliamo della bellezza dell’amore di Dio ma senza nessuna pretesa di essere ascoltati, semplicemente gettando semi di verità, con la fiducia che prima o poi porteranno il loro frutto, stiamo testimoniando Gesù. I nostri famigliari avranno modo di riflettere grazie al nostro comportamento, alla nostra ricerca e al nostro impegno di essere coerenti con quanto Gesù ci ha testimoniato per primo. Quando porranno delle domande, avrai l’occasione per parlare apertamente di Gesù e del suo messaggio. Se anche non arriveranno domande, la tua testimonianza personale sarà per loro un continuo spunto di riflessione e conoscenza, ben sapendo chi è Gesù per te.

Domanda:

Sono un eunuco. Cosa pensa di me il Padre?

Risposta:

Il Padre ti pensa come suo figlio, desiderato e amato. Il Padre ci ama tutti senza nessuna discriminazione di nessun genere e tipo. La testimonianza di questo amore libero, incondizionato, gratuito ed eterno, ci viene da Gesù che ci ha rivelato il vero volto del Padre andando ben oltre ciò che insegna la religione sterile, basata su norme che hanno la pretesa di abilitare l’uomo a stare alla presenza di Dio o ad esserne esclusi. Tutti e quando dico tutti intendo proprio tutti, siamo stati pensati ad immagine e somiglianza di Dio. Possiamo non esserne consapevoli o esserlo solo in parte, ma questo non cancella in nessun modo questa verità. La religione ebraica, ai tempi di Gesù, continuava a considerare i portatori di un limite fisico come gli eunuchi, i ciechi, gli zoppi, giusto degli esempi, esclusi dalla comunità del Signore e non potevano partecipare ai riti religiosi. Gesù non ha mai messo nessuna legge al di sopra dell’uomo e dei suoi bisogni, ha sempre accolto tutti senza preoccuparsi di cosa imponeva la religione e la tradizione. Gesù è testimonianza completa e compiuta dell’amore del Padre. Cosa pensa di te il Padre? Pensa tutto il buono e tutto il bello che sei, così come sei. Tu sei suo figlio e ti ama.

Domanda:

Ciao, vorrei sapere il significato della frase “Con la misura con la quale misurate, sarete misurati”?

Risposta:

Il versetto intero dice così: <Date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio>. A me sembra un invito ad essere “capaci”, che non indica tanto il saper fare ma il fare spazio, uno spazio che si può riempire. Un vaso è capace, cioè può contenere. È come dire che la vita ti può dare tanto quanto sei capace di contenere. Ed è soprattutto un invito alla generosità, perché quando il tuo vaso viene svuotato nell’atto del dono è pronto per essere di nuovo riempito, e lo spazio che può essere riempito è esattamente quello che si è vuotato nel donare. Perché la vita risponde alla generosità con altrettanta generosità, forse in momenti e da persone o situazioni inaspettate, impreviste, ma lo fa. Il bene che compiamo con atti di generosità va’ in giro per il mondo e poi torna su di noi, carico di tutta l’energia buona che ha seminato; quella raccogliamo.

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